Location nipponica e ambientazione vaga, forse troppo, per The Wolverine, nuovo capitolo della saga cinematografica riguardante le imprese dei mutanti, inaugurata nell’anno 2000 da X-Men di Bryan Singer e ispirata interamente alla serie dei fumetti Marvel Comics, ideata nel 1963 dallo scrittore Stan Lee e dal disegnatore Jack Kirby. Diretto da James Mangold, il film punta sullo struggimento del personaggio di Wolverine, mentre il predecessore Gavin Hood aveva focalizzato la sua regia sulla forza animale del mutante.
La struttura narrativa del film si concentra pertanto, anche questa volta, sul più iconico dei personaggi mutanti di casa Marvel, Wolverine, come già era accaduto nel film del 2011 intitolato X-Men le origini – Wolverine. Un tutt’uno tra fisicità, muscoli e azione, condensati in una scenografia ricca di effetti speciali, lasciando spazio ad una tematica sentimentale e a un legame di fondo tra il nostro eroe e la giovane Mariko, nipote del capo della famiglia Yashida, il quale propone a Logan (Hugh Jackman), dopo averlo fatto portare al suo cospetto, nei pressi della città di Nagasaki in Giappone, un modo per sbarazzarsi della sua immortalità, trasferendola a lui. È qui che arriva la presa di consapevolezza basilare della narrazione, richiamata dalla frase Ciò che mi hanno fatto, ciò che sono, non si può cambiare (cit. Wolverine), già anticipata in una delle scene iniziali costituita dal ritrovamento di un grizzly ferito e dalla sete di giustizia a cui il mutante non può voltar le spalle. Non mancano di certo i combattimenti e le dispute all’ultimo sangue con la mafia Yakusa, come quello iniziale del treno in corsa, a far quasi da anticipazione ai duri scontri tra mutanti, come quello con Viper, la quale lo priverà dei suoi poteri di guarigione, costringendolo ad essere un uomo mortale in lotta per la sua sopravvivenza e per quella della ragazza giapponese presa sotto protezione. Wolverine è, in realtà, un uomo che soffre perché turbato da continui incubi che lo riportano al passato, ricalcati nel film da flashback narrativi al fianco della sua amata Jean, momenti da cui non può trovar pace vista la sua condanna alla vita eterna. Quello del mutante è, quindi, un ritorno in battaglia tra morte ed immortalità, un percorso di riconquista della propria natura che lo vedrà impegnato in combattimenti all’ultimo sangue per salvaguardia, protezione e vendetta con un pizzico di ironia, dettata dal personaggio di Yukio, interpretata da Rila Fukushima.
faccia a faccia con Viper |
con Yukio |
In ultima analisi il prodotto cinematografico, seppur talvolta le scene narrative abbiano il volto dell’inverosimile, riesce tutto sommato nel suo intento, quello cioè di fornire un ritratto dell’immortalità di Wolverine, di cui Hugh Jackman dà un’interpretazione che ricorda, talvolta, il recente John Rambodi S. Stallone. Questa particolarità è quella che permette, probabilmente, al film di funzionare maggiormente nonostante la struttura non convinca in modo esauriente, date la determinazione e la caparbietà dell’attore australiano nel vestire, per la quarta volta, i panni del protagonista, frutto dell’immedesimazione raggiunta.