Basato sul libro del giornalista Luke Harding The Snowden Files, il biopic di Stone porta in pellicola la storia di Edward Snowden, l’informatico che, venendo incontro a verità alquanto scomode, si è ribellato al sistema diventando l’uomo più ricercato al mondo (cfr. titolo libro). Uscito in sala nel Novembre del 2016, il film è ambientato appunto nel 2013, muovendosi lungo le fondamenta cinematografiche del thriller politico e per certi versi psicologico che trascrive la denuncia effettuata dall’hacker (cit.) contro la raccolta di dati personali e la violazione della privacy.
Non solo attraverso la registrazione sui social network o altri portali online, infatti, il mondo del world wide web inficia la privacy degli utenti inserendone i dati in appositi database, ma anche con il possibile controllo a distanza dei dispositivi informatici, lasciando intendere, mediante un messaggio ripetuto più volte, la grandezza della tecnologia che permette di fare “tutto ciò che vuoi” (cit.). A tal proposito, il film passa rapidamente in rassegna una possibile violazione della vita privata attraverso l’accensione in remoto di un computer e, nel caso specifico, della relativa webcam per spiare la quotidianità dell’utente. Indirizzate a sorvegliare, tutte le procedure di supervisione finiscono, talvolta, per inficiare anche la privacy e i diritti dei comuni cittadini. Rintanato in una stanza d’hotel a Hong Kong, l’ex tecnico CIA e consulente informatico NSA ha rilasciato, con tanto di dati sensibili alla mano, un’intervista al quotidiano The Guardian sull’esistenza di programmi di osservazione di massa, una storia che si pone ad ampio raggio sulle tematiche della corruzione, dell’hackeraggio, della pirateria e quant’altro, spiccando visivamente anche grazie ad una regia effimera e minuziosa che pone in luce il principio della necessità di “inchiodare il governo alle proprie responsabilità” (cit.).