Il 13 Maggio 2013, pochissimi giorni dopo la giornata dedicata alla memoria di Aldo Moro, ricorrenza fissata per il giorno 9 maggio, il Teatro Millelire di Roma si veste di commozione e omaggio in onore del presidente e fondatore del partito DC. In scena il monologo espressivo di Mauro Monni, in questo caso più uomo che attore, il quale percorre in maniera aulica e narrativa i momenti salienti dei 55 giorni di prigionia del politico, segregato dal gruppo terroristico delle Brigate Rosse. Partendo dalla presentazione del personaggio, l’attore-regista ne mette in luce i turbamenti esistenziali partiti dalla sua coscienza, in un tono che passa da colloquiale, scandito nei momenti di mera narrazione storica dei fatti a quello aulico ed enunciativo dei momenti riflessivi e ancora di più in quello iniziale che riporta ad uno dei processi per cui Aldo Moro fu condannato ad un destino atroce.
Una pagina di storia quella tracciata dall’interpretazione esaustiva dell’attore, il quale beneficia anche del particolare momento creato dalle musiche significative composte da Marco Lamioni e dei video in prospettiva montati dal regista Paul Cameron, a delineare una situazione il più realistica possibile, seppur sia cruda, come quella che ha sconvolto tutta la penisola italiana nel maggio del 1978. Una vicenda avvolta ancora oggi da un lugubre mistero, come testimoniano le voci della moglie di Moro e della scorta in sottofondo, a sottolineare ancor più quello smarrimento e quella indignazione verso il crimine commesso. Un colpo di Stato che ha visto coinvolti molti esponenti politici, tra cui anche Giulio Andreotti, destinatario di alcune lettere che Moro scrisse durante il periodo di reclusione. Un memoriale che diventa l’unica fonte di verità sul sequestro Moro e l’unico obiettivo dei terroristi, mossi dalla paura che il presidente abbia svelato tutto, perché nulla può ostacolare la penna di un uomo abbandonato al proprio destino, un re solo.
Da qui il titolo della messa in scena drammatico – realistica, di cui si nota un colorito significativo, grazie al doppio set sulla stessa scena, quello dell’aula – poltrona – nascondiglio e quello del leggio – narrazione e all’illuminazione predisposta ad indagare nell’animo del protagonista e degli spettatori, mossi ad un’autoanalisi interiore stimolata dalla freschezza della tonalità dell’attore, coinvolto ma presumibilmente distaccato dai fatti. Si tratta di fatti che, raccontati quasi a singhiozzo nel destare emozione e sconforto nei presenti, hanno sconvolto l’opinione pubblica e continuano a toccare il cuore degli italiani, come dimostra la risonanza della serata stessa, nella speranza che non si ripetano per nessuna ragione.