Uscito come terzo capitolo il 14 Luglio del 2006 ma temporalmente collocato dopo gli eventi di Fast & Furious 6, The Fast and the Furious: Tokyo drift propone una differenziazione territoriale del franchise portando gli spettatori fino in territorio nipponico, mettendo parzialmente da parte il discorso della velocità a suon di NOS e strutturandosi attorno al mondo del drifting. Episodio necessario a spiegare il contesto degli avvenimenti inerenti la produzione Universal Pictures e Original Film, il lungometraggio, inizialmente passato un po’ in sordina, contiene molteplici riferimenti, allestendo una narrazione supportata in particolar modo dal colpo di scena finale che si riallaccia sia al sesto che al settimo capitolo del franchise.
Costretto a cambiare città di continuo, Sean (Lucas Black) è “diventato un cittadino del Mondo senza accorgersene” (cit.) a causa delle sue bravate, l’ultima delle quali lo porterà a raggiungere il padre a Tokyo. La passione per i motori e le auto non tarderà, però, a ripresentarsi, coinvolgendo il protagonista “in un giro di fanatici delle corse” (cit.), dandogli la motivazione per dimostrare il proprio valore e – se vogliamo – trovare un punto d’incontro con il genitore che, compresa la losca situazione gravante sul figlio, gli fornirà il suo aiuto e lo appoggerà nelle sue scelte. Appoggiato da Twinkie (Bow Wow), Neela (Nathalie Kelley) e prima ancora da Han (Sung Kang), il ragazzo si aggiudicherà lo scettro di DK (Drift King) e il diritto di restare nella città per concessione della Yakusa. A dar adito al tessuto tematico della pellicola, il raffronto e la rivalità tra il protagonista e Takashi (Brian Tee), astuto pilota detentore della nomina di re del drift che, in virtù di un favorevole legame familiare, approfitta della sua posizione “giocando a fare il boss” (cit.). Diversi gli elementi esplicativi trascritti nella sceneggiatura del prodotto, a partire – oltre che dal cameo finale – anche dal ruolo del carattere interpretato da Kang, punto cardine della storia di conquista della libertà da parte del protagonista e, al tempo stesso, anestetico dell’antagonista principale, fungendo sia da collettivo che da elemento ad epilogo strutturale della pellicola, designata come prodotto sicuramente interessante anche grazie alle musiche di Bryan Tyler e agli effetti coinvolgenti.