Terzo capitolo della travolgente serie poliziesca avviata da Michael Bay, il film in sala da ieri si sviluppa – in un certo senso – attorno all’idea concreta della famiglia sullo sfondo della storia ventennale degli agenti Mike Lowrey (Will Smith) e Marcus Burnett (Martin Lawrence), i quali, ormai prossimi al ritiro, dovranno misurarsi, nel senso più stretto e naturale del termine, con la propria situazione in merito. Uscito a 25 anni dall’esordio cinematografico della trilogia e a 17 dal primo sequel, il lungometraggio ci porta, questa volta, in fondo all’anima dei personaggi, presentandoci – relativamente a Marcus – il bisogno di fermarsi e vivere una vita finalmente tranquilla che sia senza minacce, mentre per il collega non sembra ancora arrivato il momento di lasciare tutto nelle mani delle nuove boy band (cit.) della polizia. Lanciati nel cinema d’azione proprio dalla prima pellicola della serie del 1995, Smith e Lawrence condiscono il lavoro di sano humor garantendo un livello elevato di divertimento.
Ormai convinto di voler appendere il distintivo al chiodo, il detective interpretato da Lawrence sarà richiamato in azione da alcuni attentati ai danni delle persone a lui care, scegliendo di non abbandonare il collega, braccato dai suoi peccati di Città del Messico e intenzionato a scovare il killer in motocicletta che starebbe facendo piazza pulita degli informatori del duo, arrivando, persino, a colpire lo storico Capitano Howard (Joe Pantoliano). Costruito tutto sul raffronto caratteriale tra i due protagonisti, Bad Boys For Life spicca per un linguaggio nostalgico – come dimostrano i riferimenti dichiarati ad alcune sequenze dei prequel – raccolto in una fotografia entusiasmante sul richiamo di particolari momenti clou, come quello dello spuntino del carattere portato nuovamente in pellicola da Pantoliano o quello della presenza armata del carattere interpretato da Smith, tra gli altri. Ad arricchire il contenuto malinconico del prodotto cinematografico il ritorno, quindi, della parte più considerevole e spigliata del cast originale, riproponendo, oltre all’alchimia a cui ci hanno abituato Smith e Lawrence nei panni dei due agenti di Miami, anche lo stesso pittoresco interprete della guida del team antidroga dei capitoli precedenti, senza dimenticare, inoltre, la medesima inquadratura locativa iniziale sulla città della Florida, tutti espedienti, questi, messi insieme anche attraverso la similare macchina produttiva. Centrale nel film di Adil El Arbi e Bilall Fallah, il tributo dichiarato, attraverso tutti questi riferimenti concreti in video e non solo concettuali, ai film diretti nel 1995 e nel 2003 da Michael Bay, l’omaggio dei protagonisti ad un comune passato quantomai attuale e il necessario confronto con la perdita e le nuove generazioni della lotta al crimine a portata di drone. Non sarà la lotta alla droga, questa volta, a coprire l’incipit della vicenda ma bensì proprio il rapporto fraterno instauratosi tra Lowrey e Burnett, desiderosi di proteggersi l’un l’altro e, in virtù di nuovi ruoli più maturi, scendere a patti con un comune futuro da condividere ancora e per sempre (cfr) uniti.