Disponibile da oggi, il film di Alonso Ruizpalacios è un documentario instillato sulla demarcazione del confine tra il concreto e il romanzato, sulla base di una sceneggiatura che – in forza dell’ambientazione messicana – verte intorno al tema dei poliziotti corrotti, affrontato sulla base delle esperienze di due agenti. Vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino 2018, il regista di Città del Messico riesce a mettere a frutto – lo si nota dalle introspettive sui protagonisti in primo piano – la sua preparazione conseguita a teatro come attore alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, riuscendo a scandire la linea di divisione tra l’essere uomo e l’apparire attore.
Interpretando e testimoniando il verisimile spaccato tra martirio, vittimismo e consapevolezza, i due agenti raccontano a Ruizpalacios le sensazioni provate in servizio al punto di sentirsi spogliati dei propri abiti ed essere come pedine al centro della dinamicità incessante della gente, immagine, questa, restituita dal montaggio, alternato tra momenti di racconto e atti realistici delle forze dell’ordine. Il lungometraggio si presenta, dunque, come un ritratto analitico e intimistico del significato dell’essere un poliziotto e dover garantire la sicurezza pubblica, il tutto padroneggiato dalla penna dell’interessante regista e dal suo sguardo viscerale che non lascia molto spazio all’immaginazione. È proprio questa commistione tra scene reali e apparizioni da backstage a circoscrivere la consistenza di un film a tratti evocativo, in cui la veridicità delle situazioni raccontate da chi può toccarle con mano è tanto dirompente e diretta quanto specificamente provocatoria perché tanto realistica. Tra gli elementi della regia del prodotto è possibile notare, oltre ad una percezione realistica del fatto narrato, anche l’attenzione drammaturgica, attraverso immagini ed esperienze, sull’esposizione giammai banale e anzi documentaristica, tratto, questo, proprio della tecnica utilizzata.