Vero e proprio cult degli anni Ottanta, il film del 1984[1] rappresenta gli albori della rivoluzione cinematografica moderna ponendo le basi per lo sviluppo di un nuovo linguaggio da portare sul grande schermo con l’aggiunta di particolari accorgimenti che influiscano sulla brillantezza dell’opera. Realizzato immettendovi, appunto, un surplus di effetti speciali, il primo capitolo della serie sul paranormale più famosa della storia della settima arte introduce, quindi, un nuovo modo di far cinema inaugurando – ai tempi in cui non si era giunti a lavorare in tal senso – lo sviluppo di nuove tecniche e di nuovi approcci alla pellicola per mezzo della computer grafica.
Raccontata dalla voce dei protagonisti e del team produttivo tra cui regista e produttori, la grandiosa esperienza proposta dal padre della sceneggiatura Dan Akyroid riguardava un connubio, quello tra reale e sovrannaturale, mai visto fino ad allora, motivo per cui il prodotto restituito è da considerarsi frutto della simbiosi tra diverse energie, una correlazione utile alla realizzazione di qualcosa di veramente innovativo. Punto di forza della produzione relativa ai disinfestatori interpretati da Akyroid, Harold Ramis e Bill Murray – come precedentemente accennato – è la raffinata coesistenza tra un arguto spunto narrativo e il vigoroso lavoro sulla resa speciale, compiuto, questo, da brillanti tecnici e marionettisti chiamati a muovere tirando i fili le creature mostruose e fantasmagoriche del film di Ivan Reitman. Ad essere maggiormente definito anche dal contenuto documentaristico in oggetto, è l’evidente interesse della squadra nel trasporre nel migliore dei modi le ambizioni di sceneggiatore e regista, a motivazione della sperimentazione che – tra realizzazione di “statue” e costumi resi gloriosi – si racconta da sé sullo sfondo della pellicola. Due i casi eclatanti che potrebbero meglio definire tale valore aggiunto, la realizzazione e la messa in scena di Slimer da un calco in simil-gesso e la resa cinematografica gigantesca dell’omino dei Marshmallow nel costume modellato ed indossato da – come egli stesso racconta – Billy Bryan. Questi e tanti altri gli aneddoti svelati nel docu-film Ghostbusters: la vera storia, sicuramente un prodotto da tener presente per lo studio della storia del Cinema e per scoprire ciò che resterebbe, altrimenti, circoscritto solo all’interno del backstage, costituendo, quindi, uno spunto di riflessione e di conoscenza per i fan della saga, gli appassionati della fantascienza, i cultori del cinema e coloro che, per la prima volta, approcciano al genere di cui il lungometraggio di Reitman ha posto le basi. Un film strabiliante che, attraverso il documentario di Anthony Bueno[2] e grazie alle testimonianze degli altri protagonisti come Sigourney Weaver, William Atherton ed Ernie Hudson, si pone a nudo in virtù del successo commerciale ottenuto e del dichiarato interesse di fan e non a saperne di più. Provenienti alcuni dal teatro ed altri dal cinema o dalla tv, tutti gli attori si rivelarono dei sorprendenti creativi, siano essi scrittori o interpreti, tutti coinvolti nell’esperimento reso ancor più maestoso dal contatto dei protagonisti con il pubblico, dalla loro disponibilità a mettersi in gioco e soprattutto dalla sperimentazione di fondo per quei ruoli – non soltanto dei protagonisti – che facevano, anche grazie alla costruzione logistica tra New York, Los Angeles e quant’altro, il loro dirompente ingresso nell’orizzonte cinematografico mondiale.
[1] Ghostbusters di Ivan Reitman, uscito il 21 Novembre del 1984 ed entrato nell’immaginario del cinema fantascientifico divenendo un cult del genere
[2] Contenuto attualmente presente su Sky Arte e nel catalogo Now TV all’interno della sezione Intrattenimento [AGGIORNAMENTO 28/03/20]