Da ieri in sala, il nuovo action movie con Will Smith si concentra sulla tematica attuale della clonazione genetica messa in atto partendo dal codice genetico dell’implacabile protagonista, un agguerrito e preciso serial killer dalla lunga distanza. Inafferrabile e difficile da sorprendere, il carattere interpretato da Smith sarà costretto a vedersela con il suo alter ego Junior, l’unico capace di prevederne le mosse perché suo clone esatto sviluppato di un esperimento di laboratorio ad opera di Clayton Verris (Clive Owen).
Diretto da Ang Lee e distribuito al cinema dalla 20th century fox, il lungometraggio si apre con l’identificazione del protagonista attraverso la fotografia di un agguato ad un treno dalla lunga distanza. Qui il primo spiraglio della meschinità a fondo della struttura narrativa del film, l’aver aizzato con l’inganno il cecchino professionista Brogen verso un biologo molecolare. Tematica di fondo del prodotto cinematografico, quindi, proprio quello dell’inganno attraverso cui spingere il sangue freddo del protagonista verso l’interesse del progetto Gemini da cui – tempo prima – si erano tirati indietro sia Brogen che Byron (Benedict Wong), chiamati ora a collaborare con la falsa studentessa Danny (Mary Elizabeth Winstead) per tutelare se stessi e – in un certo senso – l’individualità umana personale. Alla base della sceneggiatura l’insieme di verità fasulle, dette per aizzare il protagonista verso dei bersagli forse scomodi, accanto ad un contesto di spionaggio e un marcato livello action, richiamato in particolar modo nelle sequenze di sparatutto con colpi talvolta fluorescenti, ad arricchire il tasso magnetico del film. A particolareggiare maggiormente la vicenda, inoltre, è il ricercato montaggio delle scene e l’utilizzo di piani sequenza esterno ed interno notte con ben pochi spiragli di luce, se non quelli della conoscenza e dei dialoghi con l’agente D.I.A. sotto copertura interpretata dalla Winstead, inviata per sorvegliare un talentuoso stratega criminale desideroso soltanto di andare in pensione a 51 anni per liberarsi del peso di coscienza divenuto ormai troppo ingente, tematizzazione, questa, inserita all’interno di una sceneggiatura attrattiva che, trattando lo scontro con se stessi, finisce per disegnare un audace raffronto dell’uomo con le proprie paure, mettendoci di fronte ad un protagonista premuroso e protettivo con il suo “aguzzino” a cui la regia di Ang Lee, privilegiando la spettacolarità della narrazione più che lo studio delle altre componenti narrative, concede un largo spazio relativamente ad un lato intimo molto familiare a Brogen ma ugualmente inespugnabile.